INCONTRI-SCONTRI

L’AGGRESSIVITA’ E IL SENSO DEL LIMITE

 

Un progetto di collaborazione insegnante/psicologa realizzato al Liceo Righi di Roma.

 

Descrizione del progetto

 

La prima fase del progetto prevedeva approfondimenti individuali e di gruppo sul tema dell’aggressività negli sport di combattimento.

La scelta di porre rilevanza, nell’attuazione di tale progetto, alle attività sportive è orientata dal fatto che tali attività consentono a chi le pratica, di diventare coscienti delle proprie capacità e di utilizzare l’aggressività, in modo costruttivo, convogliando, per esempio, le proprie energie verso lo sviluppo di abilità corporee e competenze psicologiche.

In seguito a ricerche e riflessioni degli studenti, l’insegnante ha assegnato agli allievi diversi compiti di approfondimento,tenendo conto della varietà dei settori cognitivi e artistici individuali e secondo modalità espressive diversificate. Tale attività ha consentito una maggiore comprensione e valutazione dell’argomento e ha stimolato i ragazzi a incrementare le proprie attitudini, favorendo lo sviluppo di un certo numero di potenzialità alternative individuali.

 

Attività previste:

- Discussione libera in classe e identificazione di spunti di riflessione;

- Attività artistico/creative; creazione di fumetti, racconti brevi, cartelloni, disegni, video, siti web, etc.

- Ricerche ed approfondimenti sul tema.

 

Didattica alternativa

L’insegnante propone un orientamento didattico nel quale gli studenti assumono un ruolo attivo fondamentale. In seguito alle indicazioni del docente ciascuno approfondisce argomenti secondo differenti modalità di indagine; sono essi stessi che creano la lezione, ognuno in base alle proprie attitudini problematiche e critiche. Tale situazione ha creato l’opportunità di analizzare le cause dell’aggressività e di prospettare una molteciplicità di soluzioni molto articolate e

adeguatamente calate nel contesto, oltre ad un livello di dibattito qualitativamente più elevato.

 

Spontaneamente dai ragazzi emergono alcuni temi qui sotto illustrati:

 

Cause dell’aggressività:

 

-         Risposta alla percezione di un pericolo;

-         Avanzato stato di stress e maltrattamenti pregressi ;

-         Fenomeni di dipendenza (tossicodipendenza o nuove dipendenze);

 

Nelle motivazioni di episodi violenti i ragazzi riferiscono l’importanza di ristabilire l’autostima e il proprio potere  minacciato.

Si potrebbe diventare violenti a causa di un adeguamento passivo alla realtà in cui ci si trova: l’incapacità di affermare se stessi, l’impossibilità di vivere in condizioni ottimali per la propria crescita, subire maltrattamenti senza poter reagire.

 

Rabbia/ aggressività

In una classe sono stati realizzati cartelloni, poesie e racconti che mettevano in evidenza la connessione tra rabbia e aggressività e l’ eventuale necessità di autocontrollo.

In particolare ha destato molta attenzione un caso di cronaca: un ragazzo accoltella il padre che gli aveva staccato i fili del computer perché lui non voleva abbandonare un videogioco.

I ragazzi pur deplorando la reazione del loro coetaneo, hanno dichiarato di essersi trovati spesso in situazioni tali da provare un intenso sentimento di rabbia. Tuttavia, erano concordi sull’importanza di controllare l’eventuale reazione aggressiva. 

 

In un’altra classe la discussione si è  concentrata sul film Million dollar baby e sui seguenti argomenti:

·  L’autostima della protagonista: la ragazza doveva lottare contro tutti i pregiudizi nei suoi confronti ma era   comunque determinata a raggiungere i propri obiettivi.

·      Il danno irreversibile arrecato alla protagonista da una scorrettezza dell’avversaria commessa per rabbia.

 

Aggressività /assertività

 

Alcuni ragazzi hanno effettuato delle interviste, a persone di diverse fasce di età, chiedendo di esprimere un parere sul concetto di aggressività. Sulla base di questa intervista e sulla base dell’accezione del termine aggressività, generalmente utilizzato in ambito sportivo, i ragazzi hanno distinto tra aggressività positiva:

 

-         "può aiutarti a reagire”

-         “rende più sicuri di sé”

-         “per non sfigurare”

-         “per far valere le proprie opinioni”

-         “e’ la spinta per realizzare qualcosa”…“ad esprimere al meglio le tue doti”

-         “è l’unico modo per far capire che non sei d’accordo"

e negativa:

 

-    "L’aggressività non è molto utile, non ci fa usare la mente ma è solo sfogo incontrollato che ci fa perdere energie inutilmente”

-    " La storia dell’uomo è una serie di incredibili crudeltà e insensati atti di distruttività.”          

 

Di tale concetto si è discusso lungamente in classe, l’aspetto che ci sembra più interessante al riguardo è la possibilità che è stata data ai ragazzi  di dare un nome a comportamenti e emozioni molto complesse.

 

Infatti, lo sviluppo di tali capacità consente di poter distinguere tra comportamenti e modi di sentire e in tal modo di evitare ambiguità e confusioni. Per esempio, spesso si confonde il comportamento da bullo, e quindi un comportamento di prevaricazione, con l’assertività e la sicurezza in se stessi; se per sentirsi forti però, è necessario rendere debole qualcun altro, possiamo ancora definire il bullo come una persona sicura di sé? La forza dovrebbe infatti provenire da se stessi e non dipendere dall’esterno.  Anche nel caso delle discriminazioni, sembra auspicabile saper operare le dovute distinzioni, al fine di poterle prevenire.

 

Aggressività/violenza

Riguardo agli episodi di violenza negli stadi, è stato approfondito il concetto di aggressività e comportamenti collettivi violenti:

“allo stadio il tifoso si sente libero e deresponsabilizzato"

“il tifoso va allo stadio perché ha bisogno di un momento di pazzia, di sfogo, di libertà”

I ragazzi hanno anche menzionato i seguenti fenomeni:

- violenza sulle donne e sui minori

- masochismo

- bullismo

 

L’esame degli elaborati ha stimolato un dibattito in classe che è sfociato spontaneamente proprio nel punto nodale del progetto intrapreso. Si evidenziava infatti la necessità che l’espressione della carica aggressiva dovesse essere controllata e fosse basata sui principi della lealtà e del rispetto delle regole; l’autocontrollo inoltre potrebbe permettere di conseguire prestazioni eccellenti.

 

Il discorso si è pertanto concentrato sul concetto di rispetto; ecco gli elementi di rilievo:

 

·      L’uso della mediazione per evitare un conflitto distruttivo tra due contendenti. I ragazzi  hanno prodotto un video su questo tema.

 

·     Soccorso verso un contendente in difficoltà, come segno di rispetto della competizione in sé e dell’avversario, in alternativa a un’azione atta a infierire o deridere l’altro. Sono stati creati alcuni disegni.

 

·    Casi in cui il rispetto delle regole portava alla vittoria in seguito a una giusta sanzione per le scorrettezze dell’avversario. Sono stati realizzati alcuni fumetti su questa traccia. 

 

Degno di rilevanza è, poi, il suggerimento che i ragazzi sembrano dare a noi adulti sulla necessità di autocontrollo rispetto al modo di gestire le discussioni in famiglia.

 

-     “succede anche ai genitori, che dovrebbero dare l’esempio”

 

Quali le soluzioni proposte

 

Alcuni alunni hanno approfondito l’argomento del mental  training. Anche le abilità mentali dell’atleta devono infatti essere allenate, in particolare assume rilevanza, all’interno del programma di preparazione mentale, la gestione dello stress.. Tale allenamento è finalizzato a prevenire atteggiamenti aggressivi o violenti causati dallo stress negli sport agonistici e si attua potenziando le strategie personali per fronteggiare le difficoltà.

 

-         “talvolta la competizione in sé può provocare accumulo di tensione e nervosismo”

-         “si è aggressivi per la rabbia derivante dall’aver perso o giocato male”

 

Inoltre i ragazzi suggeriscono:

 

-         maggior dialogo;

-    non minimizzare il fatto che alcuni film e giochi virtuali potrebbero istigare alla violenza inducendo a fenomeni di emulazione.

 

È da sottolineare, comunque, che occorre sempre contestualizzare il fenomeno, infatti, non sempre si può delineare una relazione di causa-effetto.

 

I ragazzi, peraltro, considerano anche l’ipotesi che film violenti e giochi virtuali possano costituire lo strumento per scaricare la propria aggressività virtualmente invece che nella realtà, consentendo una sorta di catarsi.

 

La seconda fase consiste in un laboratorio condotto dalla psicologa Dott.ssa Salvi, con l’obiettivo di stimolare la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità, del proprio modo di essere in relazione agli altri, dei propri sentimenti di paura e di insicurezza.

 

Il laboratorio si attua attraverso la realizzazione di un gioco finalizzato a sviluppare la comunicazione e l’autocoscienza.

 

Nella scelta del gioco lo spunto è stato preso tra quelli proposti da Sabina Manes [1].

 

Animali della foresta: La conduttrice chiede ai partecipanti di camminare liberamente nello spazio e di immaginare una foresta. Dopo qualche minuto ciascuno deve scegliere per sé un animale e rappresentarlo come può, con i movimenti e i versi, in modo da farsi riconoscere dai componenti del gruppo. Quando tutti hanno scelto gli animali e la collocazione, la conduttrice chiede di agire il proprio ruolo in relazione agli altri e lascia agire i partecipanti, osservando attentamente le dinamiche del gruppo: fughe, attacchi, inattività.

 

La conduttrice comunica che gli animali sono stati fatti prigionieri e invita a immaginarsi dentro una gabbia.  Poi gli animali vengono liberati e possono uscire e interagire nuovamente.

 

PRIMA PARTE

 

1)   Organizzazione del gioco:

 

14 partecipanti al gioco (sette predatori e sette prede)

14 osservatori

 

Direttive per gli osservatori: scrivere una nota su ciò che li colpisce rispetto all’eventuale espressione delle emozioni di paura, insicurezza e aggressività.

 

Direttive per i partecipanti:

 

·   giocare in assenza di contatto le attività di attacco/fuga (per catturare la preda si   doveva toccarle il ginocchio per tre volte);



[1] S. Manes a cura di, 83 giochi psicologici per la conduzione dei gruppi, Franco Angeli 2008

 

             ·          scegliere l’animale da rappresentare e dichiarare:

come e dove decide di collocarsi

con chi pensa di interagire

 

I ragazzi dovevano mettere in atto strategie di attacco e di fuga evitando di farsi del male ed esercitando un controllo sulle proprie azioni.

II gioco è stato strutturato in maniera tale da esperire l’attuazione dei limiti imposti dalle regole.

 

1)   Attrezzature utilizzabili (tappetini, spalliere, cerchi, ecc.).

 

Sono stati posti alcuni tappetini che fungevano da rifugio per le prede in fuga. La spalliera poteva essere utilizzata come albero su cui arrampicarsi; le gabbie erano rappresentate dai cerchi, per focalizzare l’attenzione sul limite concreto al movimento .

 

SECONDA PARTE

Discussione sull’esperienza appena vissuta.

 

Obiettivi:

·       Osservazione delle reazioni individuali e delle dinamiche di relazione nel gruppo;

·       Analisi delle emozioni;

·       Sollecitare un dibattito e una riflessione tra i partecipanti;

·       Confronto tra insegnante e psicologa sulle dinamiche osservate.

 

Risultati del laboratorio

 

Predatori o prede?

Osservazione delle reazioni individuali e delle dinamiche di relazione nel gruppo

 

In questa fase abbiamo osservato che alcuni ragazzi hanno mostrato difficoltà nell’immedesimarsi nell’animale scelto mentre altri sono riusciti maggiormente nell’intento. In alcuni casi abbiamo potuto notare difficoltà nell’autocontrollo, soprattutto per quanto riguarda la cattura della preda e l’obbligo di rimanere all’interno del cerchio/gabbia.

 

Fermarsi a riflettere…

La discussione ha avuto inizio dalle motivazioni della scelta di rappresentare:

 

una preda

 

-    “è più intrigante l’aspetto strategico della fuga rispetto alla superiorità fisica del predatore;

-   “non mi sembrava il caso di fare il predatore…non mi ci vedo!

 

o un predatore:

 

 perché è una cosa che non avevo fatto mai”

-  “perché è bello!”

 

Più che le parole erano la postura, la mimica del volto e specialmente gli sguardi che rivelavano l’eccitazione di tale scelta.

 

Riguardo alla scelta di un animale in particolare: qualcuno ha riferito di aver scelto in base all’aspetto estetico, alle qualità dell’animale, qualcun altro in base alla propria indole o  al proprio desiderio di originalità.

 

Un alunno in un primo momento ha scelto il leone: “perché è il re e comanda…dorme tutto il giorno…è la leonessa che caccia…ma è lui il primo a mangiare!” In un secondo momento il ragazzo ha cambiato idea e ha scelto il lupo. Richiesti i motivi ha affermato: “ho capito che mi sarei annoiato…voglio fare il lupo solitario che può cacciare chi vuole”, differenziandosi così dalla regola che ciascun predatore poteva interagire solo con una singola preda.

 

Un altro alunno ha affermato di voler rappresentare un puma: “ volevo essere originale”

 

Il gruppo degli osservatori ha esplicitato i propri commenti e le proprie impressioni.

 

Ecco alcuni stralci di conversazione:

 

sui diversi atteggiamenti dei giocatori

 

- “alcuni si sono massacrati…”(risata generale)

“dopo la gabbia P. e S. si ammazzavano…”

       - “si esaltavano…si vedeva anche dall’espressione del viso"

           -      “più le prede scappano veloci più stimolano i predatori a conquistarle…”

  -      “sì…quando c’e sfida è più bello”

 

sulle strategie di attacco/fuga

 

-         “S. fuggiva saltando da una tana all’altra…”

-         “Alcuni andavano incontro ai predatori e poi scattavano…”

-         “S. stava in agguato…”

-         “I. fingeva di essere morto e poi scappava…”

 

su predatori e prede in gabbia

 

-“B. si è avvilito…”

-“ F. si è arrabbiato e tentava di uscire…”

-“C. si arrabbiava molto… vedeva la sua preda nella gabbia vicina e non poteva prenderla…”

 

Successivamente sono stati esplorati sentimenti e sensazioni relative al trovarsi chiuso in una gabbia

 

-          “nella gabbia non avevo spazio sufficiente per muovermi…”

-         “la gabbia mi proteggeva dai predatori…”

-         “volevo assolutamente uscire!”

 

È interessante come anche solo esaminando per pochi minuti un semplice gioco in cui il corpo è protagonista (che parla e che suggerisce), si riesca ad ottenere una rappresentazione molto sintetica, essenziale e profonda dell’agire di ciascuno. Del resto un’attività motoria ludica ha da sempre costituito terreno fertile per il giocatore che sia propenso a creare personali strategie, offrendo una molteplicità di soluzioni.    

 

La farfalla nel bozzolo….

 

In questa seconda parte della discussione emerge il tema delle opportunità di cui i ragazzi potrebbero avvalersi al fine di sentirsi liberi di individuarsi e realizzarsi; affiorano le loro difficoltà e l’energia necessaria a tale processo di differenziazione proprio come una farfalla che deve uscire dal suo bozzolo.

 

La conduttrice ha poi chiesto ai ragazzi di pensare a quali potessero essere delle gabbie “metaforiche” nella loro vita:

 

“La scuola!” è stata la dichiarazione quasi unanime, tranne in alcuni casi, dove si affermava: “sostenere un discorso con i genitori”, nel senso di regole e limiti da rispettare.

 

La scuola viene vista come una gabbia in questo senso:

 

“Ci sono troppi compiti!”

“Mi voglio divertire!... La scuola lo impedisce, perché bisogna studiare tanto…”

“Io voglio fare sport… e poi sono anche stanco…, non ce la faccio a studiare tanto…”

“La scuola ti rovina la vita”.

“Ci impongono tante cose, se non me le imponessero io magari le farei comunque”

“si chiama scuola dell’obbligo!”

 

Guidando la discussione, la conduttrice suggerisce altre possibilità.

 

Tanti anni fa la maggior parte dei bambini non andava a scuola. Oggi è ancora così in alcuni Paesi.

 

“Come sarebbe per voi se doveste andare a lavorare?”

 

E ancora:

 

“Cosa potrebbe voler dire per voi essere liberi da gabbie?”

 

Inizialmente i ragazzi dichiarano di volersi solo divertire senza faticare.

 

Alla domanda: “come pensi di poterti mantenere?”i ragazzi cominciano a riflettere, cercando però ancora delle scorciatoie, ridendo delle soluzioni trovate come. “sposare un donna ricca!” e così via.

 

Sembra emergere l’ansia per doversi un giorno assumere delle responsabilità.

 

Un ragazzo apre la via ad un nuovo punto vista: “per me non stare in gabbia significa poter scegliere”. E ancora: “non si può essere di peso ai genitori tutta la vita!” E quindi un’analisi più realistica e meno favoleggiante della vita. Di qui si è dipanato il filo di un discorso su come potersi affermare nel mondo e sulla libertà di poter scegliere.

 

Dall’iniziale e semplice non andare a scuola, emerge la voglia di conquistarsi un posto nel mondo, di svolgere attività interessanti, di realizzarsi seguendo le proprie inclinazioni e le proprie aspirazioni.

 

L’ansia sembra lasciare il posto a nuove fantasie sul proprio futuro e sui propri desideri.

 

Dopo un “giro” iniziale rispetto ai loro desideri, emerge per la maggioranza dei ragazzi l’aspirazione a professioni di prestigio e in cui possa essere presente l’aspetto creativo.

 

In alcuni casi i ragazzi si riferivano alle professioni dei genitori oppure asserivano di non sapere cosa fare.

 

Altri affermavano che non vale la pena di andare all’università perché “c’è la crisi, e il lavoro non si trova. Allora perché affaticarsi tanto?”

 

Oppure: “tanto c’è gente che è raccomandata e trova lavoro anche se non è preparata”

 

Rispetto alle paure e alle insicurezze, in molti casi emerge il timore di non essere all’altezza, non riuscire ad ottenere le competenze necessarie per evitare di fare errori (es., il chirurgo).

 

Dal punto di vista psicologico, affiora l’ansia per il futuro che, inizialmente mascherata dal desiderio di puro divertimento, sembra invece rivelare un tentativo di rinviare il problema per non doverlo risolvere; emerge altresì la frustrazione per i casi di corruzione e clientelismo e il senso di impotenza e di incertezza.

 

La conduttrice tenta nuovamente di coinvolgere i ragazzi a individuare un nuovo punto di vista:

 

“Cosa pensate di poter fare voi, per migliorare la situazione?

 

Il senso di rassegnazione impotente è ciò che emerge nella maggior parte dei casi.

 

Infatti, se sollecitati sulle possibilità di cambiamento, la rassegnazione si trasforma in collera ed emergono soluzioni “di tipo sovversivo”, citando esempi di violenza (terrorismo) o di dittature (“Mussolini si è alleato con i nazisti ma ha fatto anche tante belle cose” ).

 

Si possono cambiare le cose anche senza ricorrere alla violenza o all’autoritarismo? La psicologa cita qualche esempio come il premio Nobel per l’economia Muhammad Yunus[1], il quale ha promosso una possibilità di cambiamento“dall’interno del sistema”.

 



[1]    Muhammad Yunus: “ideatore e realizzatore di un sistema del microcredito ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati a ad imprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il Premio Nobel per la Pace 2006. Yunus è anche il fondatore della Grameen bank, di cui è direttore dal 1983.” (Wikipedia)

 

I ragazzi si mostrano interessati ma appaiono scettici sulla possibilità di realizzare anche loro qualcosa di simile.

 

Il lavoro svolto fin qui ci ha fatto riflettere su quanto sia importante stimolare i ragazzi a partecipare in prima persona al processo della formazione umana e critica della propria personalità. La scelta di far acquisire, ben orientati, ai ragazzi gli strumenti per potersi sempre porre in posizione di analisi e critica delle situazioni problematiche, rappresenta la nostra proposta in tal senso. L’apprendimento di  qualsiasi nozione o norma morale risulterebbe così un processo acquisitivo che emerge dalle istanze più profonde; è un viaggio che l’allievo compie...è esperienza, incontro, scambio, prova di sé e genera ristrutturazioni interne di continue sintesi, tratte da analisi sempre più approfondite.

L’intensità di un percorso esperienziale che parta da problemi reali riesce ad accendere motivazioni autentiche.

Perché questo avvenga è necessario  un intervento che indichi le possibilità di sviluppo personale.

L’alunno è posto così nelle condizioni di conquistare la propria individualità misurandosi continuamente con la dinamicità del processo apprenditivo.

Si viene così a favorire non solo il processo acquisitivo ma anche la stabilità dei concetti appresi. Tale metodologia consente di dare ai ragazzi i mezzi concreti per intervenire creativamente nel processo culturale.

Come afferma Ravaglioli,  riferendosi a Hegel, l’educazione è “libertà, sviluppo, autocoscienza”[1].

 

Il laboratorio si inserisce nel più vasto progetto pilota di Educazione al senso del limite, da noi proposto, con l’intento di promuovere potenzialità e risorse nei ragazzi. In questa ottica la prevenzione del fenomeno del bullismo[2] viene considerata all’interno della formazione globale della persona per una partecipazione attiva e consapevole.

 

La collaborazione tra insegnante e psicologa, pertanto, pur con diverse professionalità e metodologie differenti, mira allo stesso scopo, che è quello di “un’azione volta a promuovere sviluppo” piuttosto che a “correggere un deficit”[3].

 

Diana Salvi, Psicologa-Psicoterapeuta

Silvia Di Scala, liceo scientifico A. Righi di Roma

 

 

BIBLIOGRAFIA

Carli, Paniccia, Casi clinici. Il resoconto in psicologia clinica, pag. 43., Il Mulino, Bologna, 2005

F. Ravaglioli, “Profilo delle teorie moderne dell’educazione”, pag. 9,  Armando Editore 1980

Di Scala Silvia, Salvi Diana, Agonismo vs bullismo, una collaborazione tra un’insegnante di Ed. Fisica e una psicologa, in “Didattica delle Scienze” n.259, gennaio 2009, Ed. La Scuola

Salvi Diana, Di Scala Silvia, Che vinca il migliore! Laboratorio di formazione e informazione sul doping, in “Didattica delle Scienze” n.264, gennaio 2009, Ed. La Scuola

S. Manes a cura di, 83 giochi psicologici per la conduzione dei gruppi, Franco Angeli 2008

K.Lorenz, Il cosiddetto male, Garzanti, 1974

N. Elias, E. Dunning, Sport e aggressività, Il mulino, 1989



[1] F. Ravaglioli, “Profilo delle teorie moderne dell’educazione”, pag. 9,  Armando Editore 1980

[2] Di Scala Silvia, Salvi Diana, Agonismo vs bullismo, una collaborazione tra un’insegnante di Ed. Fisica e una psicologa, in “Didattica delle Scienze” n.259, gennaio 2009, Ed. La Scuola

[3] Carli, Paniccia, Casi clinici. Il resoconto in psicologia clinica, pag. 43., Il Mulino, Bologna, 2005